Quinto Ciclo

Quello che resta dello sviluppo

Sono nato in Puglia e alla mia terra sono molto legato. Ho trascorso lì la mia infanzia e sono tornato successivamente più volte in quei luoghi. Mia madre era originaria di Martina Franca un centro poco distante da Taranto. Dai ricordi prima, e dalla memoria successivamente, nasce questo ciclo.

 

Ai miei occhi di bambino, Taranto mi appariva una città strana: due mari, un ponte girevole , un mucchio di case di pietra dorata che galleggiava a dividere il mar piccolo dal mare aperto. Intorno il verde di orti e di ulivi. Poi i pescatori con le loro barche di legno. E’ dolce il ricordo di quella Taranto.

Non vi tornai per molti anni anche se trascorrevo tutte le estati in Puglia. Fu proprio durante una delle mie vacanze, nel 1964 che mio zio lanciò l’idea di fare una gita a Taranto. Trovai una città trasformata, quasi irriconoscibile, frenetica . Macchine e moto affollavano le strade, rumori di motori e clacson . Una città caotica. Non si avvertiva più l’odore del mare. L’Italsider aveva iniziato la produzione da un anno. A Taranto tornai nel 1978, giovane architetto per ragioni professionali. Giunto in città fui colto da un senso di spaesamento e di angoscia . Che senso avevano quei quartieri tanto, troppo a ridosso della grande acciaieria?

 

Non riuscivo a capire. Forse avrei dovuto essere preparato, sapevo bene cosa era successo in quella città e cosa stava succedendo e forse avrei potuto immaginare cosa sarebbe accaduto in seguito. Tornai ancora alla fine degli anni 90 e ancora nei primi anni del 2000. Arrivavo da Martina Franca in auto. Era sera. Dall’alto della collina che degrada verso il mare guardai, Taranto non c’era più. Vidi un Inferno di fuoco e di fumo. La più grande acciaieria d’Europa aveva mangiato la città, la campagna e aveva bevuto il mare. Risalii in macchina e tornai indietro. Non volevo cancellare i miei ricordi . Quelli dovevano restare dov’erano. Ora occorreva studiare per capire, attivare la memoria.

Cominciai a pensare al ciclo “quello che resta dello sviluppo”, alla più grande acciaieria d’Europa, prima Italsider, poi Ilva, ora Arcelormittal e domani, probabilmente, il nulla. Iniziai a lavorare.

A fianco all’impianto altri due mostri sbuffavano veleni: il petrolchimico e il cementificio. Perché tanto accanimento su quella città? Taranto è l’esempio di quello che resta dello sviluppo. Lo “sviluppo”, come lo intendeva Pier Paolo Pasolini, da contrapporre al “progresso”. Il primo mette al centro le tecnologie, il secondo l’uomo e il suo pensiero. Si ha la sensazione, studiando la storia dello sviluppo di Taranto, che lì, non so quanto involontariamente, fosse stato realizzato un esperimento: verificare un macabro livello di sopportazione dell’uomo: per il lavoro si può andare oltre la vita? A Taranto le persone si ammalano e non soltanto gli operai ma anche i bambini: malattie respiratorie, cardiache e tumori.

Per la realizzazione della fabbrica-mostro furono abbattuti 40.000 ulivi secolari . Cosa può nascere da un simile scempio?

 

Il ciclo si compone di diverse opere. L’opera centrale, è una installazione: “le tute e l’acciaio”.

E’ formata da dieci pannelli su cui è deposta una lamiera lacerata, sporcata di ossido e di acidi, incendiata. Sono le tute che gli operai, finito il turno, depositano in una specie di camera di compensazione prima di andare alle docce.

Ho trattato la lamiera in modo da apparire all’osservatore come un grossolano panneggio antropomorfo ma anche come l’elegante, innocente, straziata anima di chi indossa quelle tute .

I dieci pannelli sono stati inseriti in altrettanti cassoni di acciaio Cor-ten ossidato che rappresentano gli edifici degli operai, rossi di polvere velenose, costruiti a ridosso dell’impianto. Altre opere del ciclo: “dodici carte malate” e “quello che resta dello sviluppo”.